28 Apr L’importanza del Tribunale per i Minorenni
Ho avuto occasione di svolgere un periodo di tirocinio di alcuni mesi presso il Tribunale per i Minorenni di Roma che mi ha permesso di conoscere meglio la realtà minorile e i professionisti che operano all’interno della stessa. Preliminarmente voglio ricordare che il Tribunale per i Minorenni è a composizione mista ossia è composto da due giudici togati e due giudici onorari, questi ultimi esperti nelle materie di psicologia, pedagogia, psichiatria, antropologia criminale ecc… Con riferimento a problematiche relative al bullismo, tale Tribunale può intervenire sia in sede civile che in sede penale: capita, infatti, che vengano istruiti procedimenti civili nei confronti di minori che sono vittime o autori di comportamenti di bullismo. Con riferimento alle vittime, il caso classico è quello del tentato suicidio di minori che accedono al pronto soccorso o che vengono segnalati al Tribunale dalle stesse Forze dell’Ordine. In tali ipotesi, solitamente il Tribunale per i Minorenni apre un procedimento civile a tutela. Molto spesso, dalle segnalazioni ricevute, si scopre una situazione familiare complicata: ci sono ragazzini che si trovano in una condizione di particolare fragilità dovuta, oltre alle vessazioni subite, anche ad un difficile rapporto con i genitori che li può spingere a questi gesti estremi. In questi casi, si cerca di intervenire anche sulla famiglia ascoltando gli esercenti la potestà genitoriale, oltre che il minore, mettendo in campo delle proposte di intervento condivise con gli stessi genitori o, altrimenti, prescritte dal Tribunale le quali, il più delle volte, si sostanziano in interventi di tipo psicologico sia in favore del ragazzo/a sia di sostegno alla genitorialità.
Come accennavo sopra, al Tribunale arrivano anche segnalazioni di minori che attuano comportamenti aggressivi nel contesto scolastico. Spesso sono gli stessi insegnanti o i Dirigenti Scolastici che segnalano ai servizi sociali (o direttamente al Tribunale) comportamenti gravemente inadeguati dei minori, preoccupati che possano essere segno di un qualche disagio del bambino. In questi casi si aprono ugualmente procedimenti civili a tutela del minore per capire da dove origina questo comportamento aggressivo, ossia se c’è un problema di tipo personale, delle patologie che si stanno strutturando nel minore o un contesto familiare inadeguato. Dopo l’audizione dei servizi sociali, dei genitori e del minore, si cercano di mettere in campo delle strategie di recupero. E’ prevista dall’art. 25, R.D.L. n. 1404/1934 la possibilità di aprire avanti il Tribunale per i minorenni un procedimento amministrativo nel caso in cui il ragazzino/a tenga dei comportamenti irregolari (per condotta o per carattere) eventualmente dettando delle prescrizioni al minore (art. 27) che possono riguardare la sua istruzione, lavoro e tempo libero. Capita di frequente che il Tribunale per i minorenni collochi in comunità quei giovani che non riescono a cambiare il loro comportamento. In sede civile si ottengono dei risultati importanti soprattutto se si ha la collaborazione dei genitori, i quali prendono consapevolezza (anche loro!) della necessità di cambiare atteggiamento con l’aiuto dei servizi sociali. Se, invece, il contesto familiare è particolarmente degradato è difficile ottenere dei risultati concreti quindi un temporaneo inserimento in comunità diventa necessario ed indispensabile per “agganciare” seriamente il ragazzo ed attivare un percorso di cambiamento.
Quando la condotta del minore ultraquattordicenne riveste rilevanza penale si sviluppa il processo penale minorile. Nel momento in cui un ragazzo viene indagato per un qualunque tipo di reato entra immediatamente in gioco il servizio sociale del Ministero che un servizio sociale particolarmente qualificato che ha una competenza regionale e che viene subito delegato dalla Procura Minorile, durante le indagini preliminari, alla cosiddetta “indagine personologica” ossia esso svolge un’indagine sociale parlando con il ragazzo, con i suoi genitori, cercando di capire il perché del fatto, se il ragazzo si riconosce nello stesso, se non si riconosce, qual è il contesto familiare nel quale questo evento è nato ecc… Quando si arriva all’esito delle indagini e il Pubblico Ministero Minorile ritiene di avere gli elementi necessari per chiedere di andare a processo e, quindi, per fare la richiesta di rinvio a giudizio, si apre l’udienza preliminare. A quest’udienza partecipa il ragazzo, i suoi genitori, sono presenti i servizi sociali (che riferiscono dei loro approfondimenti), la persona offesa, la difesa e la pubblica accusa. La tendenza che è insita nell’attività dei Tribunale per i minorenni in sede penale è quella di portare il ragazzo ad uscire dal processo, non tanto con una condanna, ma con un percorso che gli consenta di capire quello che è successo ed, in un certo senso, di riparare a quello che ha commesso. Tutto il processo penale minorile è ordinato secondo principi specifici e diversi rispetto al processo penale per gli adulti ossia tende al coinvolgimento del ragazzo, alla comprensione del disvalore di quello che ha fatto e al suo recupero. Questo ancora di più nell’ambito di reati commessi direttamente nei confronti di un soggetto che magari è un compagno con cui si continua a stare in classe, con cui si vive nello stesso paese o ci si incontra tutti i sabati pomeriggio lungo il corso. L’esigenza fondamentale del Tribunale, quindi, è quella di risolvere il conflitto più che di scrivere su una sentenza che il minore ha commesso quel reato condannandolo ad una pena che molto spesso è una pena simbolica in quanto per i fatti non gravissimi si tende a non espiare una pena carceraria, ancor più per i minori. Quindi si cerca di attivare un percorso di fuoriuscita del processo e, proprio per questo, sono previsti degli istituti specifici come quello della cosiddetta messa alla prova che nasce in ambito minorile ma che oggi il legislatore ha anche esteso al processo a carico degli adulti. Quando il minore viene in udienza e si riconosce nella condotta, ossia magari non dice di aver commesso il fatto così come identificato dalla pubblica accusa ma comunque ammette che qualcosa è successo, che quella condotta l’ha tenuta (magari la contestualizza diversamente o la intende diversamente non rendendosi conto fino in fondo del disvalore di quello che ha commesso, del danno che ha cagionato alla vittima) e, quindi, c’è sostanzialmente una condivisione sul nucleo del fatto, se il ragazzo è d’accordo si sospende il processo (in qualunque fase esso si trovi) e si avvia il minorenne ad una vera e propria prova. Quest’ultima prevede una serie di attività che vengono concordate in relazione al singolo caso concreto attraverso un progetto che viene redatto dal servizio sociale del Ministero. Il progetto prevede varie attività e, laddove è possibile e la persona offesa dia disponibilità, anche un’attività di mediazione vittima-autore del reato. Un mediatore professionista, in una stanza della mediazione che è esterna al processo, con un’attività tecnica, specifica e professionale mette, nell’ambito di un percorso che prevede vari incontri di preparazione, a confronto le due parti di questo conflitto. Ciò sia per consentire, da una parte, all’autore del reato di riconoscere il danno che ha causato alla persona offesa e, dall’altra, alla persona offesa di vedere riconosciuta la propria posizione. Tale attività di mediazione dovrebbe tendere ad un risultato di riconoscimento reciproco e, direi, di pacificazione. La messa alla prova inoltre prevede anche un’attività di riparazione nei confronti della società perché un danno commesso nei confronti di un’altra persona è sempre un danno commesso nei confronti di tutta la società e, quindi, molto spesso queste messe alla prova prevedono delle attività che durano vari mesi. Tali prove sono molto più faticose di una condanna nei confronti di un adulto che, il più delle volte, rimane esclusivamente sulla carta. Questi giovani, ad esempio tre pomeriggi a settimana vanno in strutture che accolgono malati o persone con gravi handicap o anziani non autosufficienti. I ragazzi aiutano, servono i pasti, cambiano le lenzuola, fanno giocare i bambini disabili. A ciò si possono affiancare altre cose quando è opportuno, ossia percorsi psicologici, di disintossicazione (perché spesso questi ragazzi hanno problemi con l’abuso di stupefacenti il cui uso modifica tutte le relazioni sociali comprese quelle con i “pari”) e quant’altro. E’ inoltre importante far capire ai genitori del ragazzo messo alla prova che devono farla insieme a lui la prova, che il ragazzo non ce la farà mai da solo, che devono partecipare attivamente perché, altrimenti, il percorso di recupero non sarà mai completo ed efficace al cento per cento. Quando questi percorsi di messa alla prova sono ben svolti, ben individualizzati, “giusti” per quella situazione specifica, possono dare dei risultati eccellenti perché molti di questi ragazzi, all’udienza nella quale viene valutato l’esito della prova, riferiscono ai giudici che continueranno l’esperienza di volontariato in quella casa di cura ecc.. perché se è vero che erano stati mandati lì per aiutare delle persone malate, disabili o non autosufficienti proprio tali persone più deboli hanno aiutato tanto anche gli stessi ragazzi nel loro percorso di cambiamento.
Dunque per aiutare il minore l’approccio deve essere globale e, perché ciò avvenga, deve esserci un intervento di tipo professionale. Purtroppo ci sono proposte di legge che mirano a chiudere il Tribunale per i minorenni riducendolo ad una sezione del tribunale civile che si occupa anche di separazioni e divorzi. Secondo me, se ciò si verificherà, ci sarà una perdita secca di una cultura, di una professionalità che ad oggi, quando funziona bene, dà risultati veramente importanti.