23 Feb Come difendersi dal cyberbullismo
Con il progetto “Mondo virtuale, pericoli reali: il cyberbullismo. Percorso di educazione alla legalità” mirato ad informare giovani, genitori e insegnanti rispetto alla rilevanza del fenomeno del cyberbullismo, e fornendo elementi concreti per affrontarlo, la criminologa Eleonora Nocito è salita in cattedra in molte scuole di Pesaro e Urbino per spiegare come riconoscere e affrontare un fenomeno ormai dilagante.
Avvocato Nocito, il cyberbullismo è un fenomeno così diffuso e preoccupante ?
Il cyberbullismo sta aumentando in questi ultimi anni insieme alla esponenziale diffusione degli smartphone e dei tablet; se prima il bullismo era circoscritto prettamente al contesto scolastico, ora la vittima può essere raggiunta, attraverso la tecnologia, ovunque ed in ogni momento del giorno e della notte, rendendo tale fenomeno ancora più grave. Vorrei ricordare che secondo la recentissima indagine del novembre 2014 «Abitudini e stili di vita degli adolescenti» condotta dalla Società italiana di Pediatria su un campione di 2.107 studenti della terza media, il 31% dei ragazzi intervistati ha dichiarato di aver subito una o più volte atti di cyberbullismo e, ad essere più a rischio, sono gli adolescenti che frequentano assiduamente uno o più social network. Le modalità prevalenti con cui si manifesta il bullismo elettronico sono, infatti, insulti, persecuzioni e minacce sui social network, in chat o tramite sms, invio o pubblicazione di foto o filmati, creazione di profili falsi su Facebook. Purtroppo, sempre secondo tale ricerca, l’85% degli intervistati non ne parla con genitori e/o insegnanti i quali non hanno accesso diretto alle comunicazioni online dei ragazzi e rimangono all’oscuro di questi episodi; in moltissimi casi, quindi, il cyberbullismo rimane un fenomeno sommerso proprio perché non viene denunciato da chi lo subisce.
Come riconoscere una vittima o un “carnefice” ?
Possono esserci varie ragioni per le quali un ragazzo può diventare una vittima: scarse abilità sociali e fisiche, fragilità emotiva ed insicurezza. Spesso si tratta di giovani timidi e riservati che faticano ad affermarsi nel gruppo dei coetanei; non hanno buone abilità comunicative e hanno un’opinione negativa di loro stessi. In un certo senso, segnalano agli altri che sono persone senza valore ed inadeguate e che non reagirebbero se venissero attaccate ed insultate, condizione questa che li rende dei facili bersagli. Con riferimento al carnefice, solitamente si tratta di un ragazzo aggressivo che utilizza modalità violente di comportamento verso i coetanei e gli adulti, che agisce in modo impulsivo ossia evitando la riflessione e la consapevolezza delle conseguenze delle sue azioni. Il bullo “online e non” ha una grande considerazione di sé e non tollera nessun tipo di regola o frustrazione. La cosa più grave è che il persecutore manca di empatia ossia non riesce mai a mettersi nei panni degli altri e ad immaginare i sentimenti e le emozioni della vittima che subisce i suoi comportamenti.
A chi spetta l’esempio da dare alle giovani generazioni?
Occuparsi del cyberbullismo è per noi adulti un dovere perché, oltre a migliorare la vita dei più giovani, favorisce un atteggiamento di reciproca collaborazione. Tutti noi, genitori, famiglie, insegnanti possiamo dare un contributo perché il cyberbullismo rappresenta un problema sociale che non riguarda solo i diretti interessati ma chiunque voglia promuovere il rispetto per gli altri e l’educazione alla legalità. Bisognerebbe invitare i nostri ragazzi ad osservare il mondo dalla prospettiva degli altri, insegnandogli a comprendere i sentimenti altrui ed a sviluppare relazioni empatiche. Come educatori, inoltre, dovremmo sempre tenere presente che rappresentiamo un modello per i nostri giovani ed il primo atteggiamento da evitare è proprio un eccessivo utilizzo, anche da parte nostra, dei social network. Almeno all’inizio, sarebbe preferibile affiancare gli adolescenti quando navigano su Internet, condividendone l’uso ed aiutandoli ad avere una atteggiamento critico nei confronti dei messaggi e delle informazioni che incontrano. Sarebbe, inoltre, molto utile accordarsi con loro sul tempo da dedicare al computer, ponendo dei limiti chiari per aiutarli a quantificare il tempo che dedicano alle attività online così da aiutarli anche a percepire da soli eventuali eccessi.
Perché parlarne nelle scuole? Ci racconti il suo progetto.
Il progetto che sto portando nelle scuole intitolato “Mondo virtuale, pericoli reali: il cyberbullismo. Percorso di educazione alla legalità” mira a sensibilizzare i più giovani fornendo loro delle conoscenze di base sui comportamenti che possono integrare il cyberbullismo e sui rischi derivanti dall’utilizzo inappropriato delle nuove tecnologie. Con il mio intervento cerco di “educarli alla legalità” portando, quali esempi, anche alcuni casi concreti tratti da vere imputazioni penali del Tribunale per i Minorenni. Mi sono resa conto che i nostri giovani, molto spesso, non si rendono conto che certi comportamenti tenuti online, e da loro considerati come delle “ragazzate” o degli scherzi, possono invece integrare veri e propri reati penali. Attraverso la somministrazione di un questionario, cerco di capire in che modo gli studenti percepiscano il fenomeno del cyberbullismo e quali siano le loro abitudini nell’uso degli smartphone, social network, tablet e computer. Il mio obiettivo è di far emergere le esperienze vissute o conosciute di episodi qualificati dai ragazzi come “cyberbullismo”.
I comuni e gli enti pubblici come potrebbero aiutare le scuole e le famiglie?
E’ assolutamente necessario che anche attori esterni alla formazione didattica e all’educazione familiare come gli enti pubblici si interessino a tale problema. Determinante sarebbe l’educazione al “digitale” di bambini e ragazzi che si dovrebbe favorire attraverso uno specifico percorso didattico finalizzato a responsabilizzare gli stessi minori rendendoli consapevoli in ordine ai rischi, oltre che alle opportunità, correlati all’uso della Rete e valorizzando, altresì, la tematica del bullismo “online e non” nei libri di testo dei nostri giovani. Risulta evidente, altresì, la necessità di avere dei buoni formatori, siano essi insegnanti, genitori, educatori: bisognerebbe organizzare dei corsi di formazione mirati per il tutto personale scolastico proprio per spiegare cos’è il bullismo, come si può manifestare e come riconoscerlo. Sarebbe importante istituire, nei consigli di istituto e nei collegi dei docenti delle scuole di ogni ordine e grado, uno o più referenti per l’educazione alle relazioni in rete e per la prevenzione del bullismo. Per sensibilizzare la cittadinanza, invece, sarebbero necessari più dibattiti nelle radio o nelle televisioni locali creando altresì spot educativi o video riferiti a tale fenomeno. Naturalmente sono molto importanti anche quei momenti di aggregazione e di formazione come le conferenze, i seminari e i dibattiti pubblici.
Da ultimo, si potrebbero creare nel nostro territorio delle strutture specializzate ossia dei veri e propri centri “anti-cyberbullismo” per chiedere un aiuto immediato, predisponendo altresì dei percorsi personalizzati per l’assistenza alla vittima e la rieducazione del bullo.
Detto ciò, vorrei concludere dicendo che non dobbiamo dimenticare che l’uso dei mezzi tecnologici da parte dei nostri giovani è determinato in larga misura dalle consuetudini famigliari acquisite. E’ facile dare sempre la colpa alla società immorale, alla politica, alla mancanza di leggi idonee o di progetti di prevenzione e di sensibilizzazione: ricordiamoci che la politica e la società siamo noi con l’esempio che diamo, soprattutto, ai nostri figli.