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La categoria dei reati informatici (computer crimes) designa gli illeciti penali in cui la tecnologia costituisce il bene giuridico protetto dalla fattispecie (danneggiamento di dati dell’art. 635 bis c.p.) oppure il mezzo per la realizzazione della condotta (es. la frode informatica dell’art. 640 ter c.p.). Nella categoria sono inclusi i c.d. reati informatici in senso stretto ovvero quelle fattispecie nelle quali l’elemento tecnologico è espressamente tipizzato, in quanto è la stessa disposizione a menzionare i dati, le informazioni ed i programmi, oppure i sistemi informatici o telematici o la rete. Tra i reati informatici devono essere annoverati anche i reati “eventualmente informatici” ossia reati tradizionali che, pure non contemplando nella loro formulazione, l’informatica o la telematica, sono in concreto commissibili a mezzo delle nuove tecnologie (diffamazione ed estorsione online ecc..).
Attualmente con l’espressione reati cybernetici (cybercrimes) si includono tutti i reati che si realizzano o possono realizzarsi nel cyberspace comprendendo entrambe le categorie dei reati informatici in senso stretto ed eventualmente informatici sotto il comune requisito della commissione in rete di tutto o parte del fatto di reato, bastando che i relativi elementi costitutivi siano compatibili con detta realizzazione, almeno in parte, nel cyberspace.
Si ricorda che i computer crimes possono incidere sulla web reputation dell’individuo oppure ledere il suo diritto alla riservatezza; nella navigazione in rete e nell’utilizzo di piattaforme d’acquisto online si annidano rischi di natura patrimoniale. Tra i crimini informatici che si verificano con maggiore frequenza troviamo il furto d’identità o sostituzione di persona (art. 494 c.p.), la diffamazione (art. 595 co. 3 c.p.), la frode informatica (art. 640 ter c.p.), l’accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico (art. 615 ter c.p.), violazione della corrispondenza (artt. 616 c.p.), il trattamento illecito di dati (c.d. phishing, art. 167 D.lgs. 30 giugno 2003, n.196), l’estorsione (art. 629 c.p.), la pornografia minorile (art. 600 ter c.p.), la diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti (c.d. revenge porn art. 612 ter c.p.).
Inoltre sono sempre di più i ricatti a sfondo sessuale ed i tentativi di truffe che stanno mietendo vittime non solo tra gli adulti ma anche tra i giovanissimi. Tali fenomeni sono in crescita e, quindi, vanno affrontati adeguatamente soprattutto nell’ottica della tutela dei minori.
Una deriva del sexting (che consiste nello scambio di immagini e video sessualmente espliciti tra minorenni e che può portare all’integrazione dei reati di pornografia minorile ex art.600 ter c.p. e di detenzione di materiale pornografico ex art. 600 quater c.p.) è rappresentata dal revenge porn (porno vendetta) e dalla sextortion (estorsione sessuale).
Il revenge porn (o pornografia non consensuale) consiste nell’atto di condivisione di immagini o video intimi di una persona senza il suo consenso, per vendicarsi di un ex fidanzato/a, compagno/a ecc. in seguito all’interruzione della relazione sentimentale tradendone la fiducia alla base dell’invio originario.
Proprio nell’ottica di prevenire e reprimere il revenge porn, anche alla luce di numerosi casi che hanno portato le vittime al suicidio, la legge n. 69/2019 «Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere» (c.d. Codice Rosso) entrata in vigore il 9/8/2019 ha introdotto una nuova fattispecie di reato nel nostro codice penale all’art. 612 ter c.p. rubricato «Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti». Tale articolo sanziona, con la reclusione da uno a sei anni e la multa da euro 5.000 a euro 15.000, “chiunque dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate. La stessa pena si applica a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video di cui al primo comma, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento. La pena è aumentata se i fatti sono commessi dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici. La pena è aumentata da un terzo alla metà se i fatti sono commessi in danno di persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza. Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale. Si procede tuttavia d’ufficio nei casi di cui al quarto comma, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio”.
La sextortion consiste in una estorsione a sfondo sessuale costituita dalla minaccia di condividere con terzi immagini sessualmente esplicite della vittima, senza che quest’ultima acconsenta. Per evitare la condivisione o la diffusione di tale materiale, alla vittima vengono chiesti benefici economici ovvero la corresponsione di una somma di denaro o favori sessuali o, ancora, la produzione di ulteriori contenuti sessualmente espliciti.
Un altro ricatto online consiste nell’estorsione realizzata tramite malware. Essa si attua attraverso un virus che limita l’accesso al proprio computer/dispositivo al fine di costringere la persona offesa a versare del denaro per lo sblocco. Tale condotta si sviluppa in due fasi: in primis l’attacco alle risorse informatiche e poi la minaccia e richiesta di pagamento.
Il virus, dopo avere infettato il sistema informatico, cripta i files utilizzati dalla vittima e memorizzati su un disco impedendone l’accesso e rendendoli irrecuperabili. Una volta criptati tutti i dati, sullo schermo del sistema compare un messaggio di avvenuta infezione, con la richiesta del versamento di denaro entro una determinata data per ottenere la chiave che consente il recupero.
La cifra richiesta solitamente non è molto elevata: tale strategia permette alla maggior parte dei criminali di ottenere facilmente il pagamento (solitamente fatto in bitcoin) senza che la vittima vada a sporgere denuncia evitandosi così tutte le lungaggini processuali. Una volta versata la somma richiesta, gli estorsori manderanno una mail alla vittima che potrà eseguire lo scaricamento del programma di decriptazione (ma non può neanche escludersi che i dati siano stati cancellati dal malware in via definitiva ed il riscatto pagato inutilmente).
Da non sottovalutare sono, inoltre, i tanti malintenzionati/pedofili che utilizzano il web come strumento per adescare giovani vittime (c.d. grooming): alcuni di loro usano la rete esclusivamente per entrare in contatto con dei minorenni. I luoghi dove si sviluppano più frequentemente tali dinamiche sono le chat, anche quelle interne ai giochi online, i social network, le app di instant messaging, i siti e le app di dating, mentre la relazione sessuale può avvenire tramite webcam o live streaming. L’adescamento online è un processo manipolativo e pianificato, facilitato dalla mole di informazioni che bambini e ragazzi condividono in Rete e che costituiscono importanti punti di partenza per agganciare la vittima. Il fenomeno dell’adescamento è previsto dall’art. 609 undecies c.p. che punisce qualsiasi atto volto a carpire la fiducia di un minore di anni sedici per scopi sessuali attraverso artifici, lusinghe o minacce posti in essere anche mediante Internet o altre reti o mezzi di comunicazione. È fondamentale che a fronte del sospetto che un bambino o un ragazzo sia coinvolto in una situazione di questo tipo, l’adulto non si sostituisca nel rispondere all’adescatore, interessando nell’immediato le autorità competenti che potranno gestire adeguatamente tutti gli aspetti implicati in una dinamica di grooming.
Si ricorda che esiste un reparto della Polizia di Stato – Polizia Postale – che si occupa di questi reati e che interviene in caso di crimini informatici.
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